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D’Amaro (primo allenatore Camarda): “Col pallone faceva quello che voleva. Ha la testa giusta per il calcio dei grandi”

Massimo D’Amaro, primo allenatore di Francesco Camarda, ha raccontato il giovane attaccante rossonero a SportWeek. Queste le sue parole:

Su come lo descriverebbe: “Sono quasi vent’anni che alleno bambini: facendo due conti, ne avrò visti millecinquecento. Camarda è il più forte di tutti. Da noi è stato una sola stagione, ma è bastata perché tutti capissimo che era diverso dagli altri. Se devo descriverlo con una parola sola, userei ‘estro’. Col pallone faceva quello che voleva, segnava in qualsiasi modo. A quell’età gli metti il pallone tra i piedi e gli chiedi di condurlo in avanti. La maggior parte dei bambini così piccoli se lo lascia inevitabilmente scappare. Camarda no: lui lo teneva attaccato al piede. Era diverso anche fisicamente, più alto e grosso degli altri. Si giocava cinque contro cinque, ovviamente senza ruoli predefiniti o schemi. Noi però uno l’avevamo. Per meglio dire, era Camarda che ce l’aveva nella sua testa: dare la palla a lui che faceva gol”.

Se gli chiedeva di passarla ai compagni: “Sì, ma è bello anche lasciare che i bambini sprigionino la loro fantasia, lasciandoli liberi di provare l’uno contro uno. Francesco prendeva la palla e andava dritto verso la porta. I compagni non dicevano nulla? No, perché i bambini sono contenti se vedono la palla finire in porta. Che poi sia uno o l’altro a mettercela, va bene uguale. Quell’anno le abbiamo vinte tutte tranne una, contro una squadra in cui c’era un bambino che poi pure è andato al Milan”.

Sul passaggio al Milan: “Un giorno arriva al campo un osservatore del Milan, Giovanni Vallelonga. Parla coi nostri dirigenti e con i genitori di Francesco. Dopo qualche giorno, Camarda non lo vedo più. Torna dopo tre o quattro mesi. ‘Che è successo?’, gli chiedo. Scopro che il suo istruttore al Milan lo aveva rimproverato vedendolo svogliato e distratto, e gli aveva detto: ‘se fai così, torna pure all’Afforese. E lui aveva risposto: va bene, ci torno. Capito, che personalità?”.

Se per lui può diventare un campione: “Sì. Francesco è fatto per il calcio. Oltre ai piedi, ha pure la testa giusta. E gli farei respirare subito l’aria della prima squadra: allenarsi e andare in panchina lì, piuttosto che nell’U23, gli farebbe bene. Già in Primavera gioca tre anni sotto età, eppure fa la differenza. Inutile ritardare l’inserimento tra i grandi”.

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