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Abbiati: “Il Milan è tutto: quando viene un giocatore, gli farei vedere la storia dei grandissimi. Noi quando pareggiavamo…”

Christian Abbiati è stato protagonista del quinto episodio del podcast di Milan TV Unlocker Room“. Ecco tutte le dichiarazioni dell’ex portiere rossonero.

Sono molto introverso e anche un po’ timido, non mi piace tanto apparire. Pensate che penso di averci messo quasi un anno per fare un discorso con Paolo Maldini il primo anno, si fermava solo al ciao. Avevo timore e rispetto. Ci ho messo un po’ per trovare la confidenza giusta. Eravamo molto rispettosi l’uno dell’altro e alla minima difficoltà ci si aiutava tutti quanti“.

Sul ruolo di portiere: “Devi avere il carattere giusto per farlo, sei da solo. Puoi fare 94 minuti parando tutto e all’ultimo minuto fai una cavolata: tutti si dimenticano quanto fatto prima“.

Sull’arrivo al Milan: “Prima di arrivare alla vittoria della Serie C attraverso i playoff, il Milan mi acquista ed ero felicissimo. Il giorno dopo la finale mi sarei dovuto presentare per le visite mediche: penso di non essermi mai svegliato. Sarei dovuto andare alla Lazio al tempo, ma visti i rapporti andai al Milan. Il Milan voleva che andassi a Milanello come terzo, ma io chiesi di poter fare l’esperienza in Serie B per vedere se fossi in grado di stare in una grande squadra. Uno sa il proprio potenziale e poi deve anche riconoscere come io ho fatto nel 2003/2004 che Dida era un fenomeno. Devi sapere anche il tuo valore, non sentire solo ciò che la gente dice“.

Sulla stagione 1998/99: “Io le prime partite entravo allo stadio da fuori, perché il terzo portiere non stava nemmeno in panchina, a volte non riuscivo neanche ad entrare. All’inizio fai fatica, perché la velocità della palla in Serie A era diversa dalla Serie B. Ti abitui a quei ritmi. Sebastiano Rossi? Ti metteva pressione, era bravissimo a farlo. Era grosso, forte perché per me è stato per dieci anni di fila uno dei migliori portieri del Milan. Lui era dietro: se sbagliavi, lui era pronto. Tutti i giorni metteva pressione, anche negli esercizi tra i portieri. Fortunatamente abbiamo lo stesso carattere, è stato un po’ sfortunato. Era una competizione sportiva leale. Lehmann poi è andato via, avevo fatto due partite da secondo in panchina. Quando ho fatto il percorso dalla panchina alla porta perché Rossi era stato espulso, mi sono detto: ‘Ma tutta questa gente dov’era prima?’. Non me ne ero reso conto di tutta quella gente. Rapporto con i compagni? Più passava il tempo, più mi rendevo conto che facevo bene e pensavo ad allenarmi. Arrivavo per primo, andavo via per ultimo perché mi dicevo che quella era la mia opportunità e volevo giocarmela tutta“.

Sul Milan: “Il Milan è tutto, bisognerebbe vedere la storia. Io quando viene un giocatore al Milan gli farei vedere la storia dei grandissimi giocatori, a partire da Baresi e Maldini. Io ho fatto il dirigente: quando pareggiavamo, noi non uscivamo la sera, non andavi in giro. Il Milan deve vincere. È giusto che la squadra sia all’altezza e ci sia la competitività leale“.

Sulla stanza con Brocchi e Gattuso: “La stanza 42 con Brocchi e Gattuso? Venivano tutti lì, era la camera di tutti, la camera del tatuaggio dopo la Champions. Si usciva sempre insieme a loro, si facevano vacanze insieme. Eravamo tre scemi. Io ero lo scontroso, Brocchi il simpatico, Rino la persona più competitiva che abbia mai incontrato. Avevamo fame di arrivare e rimanere. La sera magari uscivi, ma la mattina andavi duecento all’ora. Noi la vivevamo così, il calcio è questo. Poi ora è diverso con i social“.

Sul nucleo di italiani: “Con tutto il rispetto che ho per gli stranieri, per me in una squadra italiana un gruppo di italiani ci deve essere. Perché sentono di più il derby, Milan-Juve, la partita di Champions League. Io ho questa sensazione, poi magari mi sbaglio“.

Su Galliani e Braida: “Se ti chiamava e ti dava del lei, avevi combinato qualcosa. Se ti chiamava con il nome eri tranquillo. Braida lo chiamavo papà, aveva molta più confidenza con noi, ma Galliani era sempre presente e nel bene e nel male ti diceva sempre la parola giusta. Ogni sabato veniva a Milanello, poi se veniva in settimana era successo qualcosa, di positivo o negativo“.

Sul rapporto con Dida: “Molto bello. Io sono competitivo, ma lealtà sportiva. Io ti rompo in campo perché cerco di essere più bravo di te, però ad un certo punto c’è un’asticella oltre la quale non potevi andare. Rigori di Manchester? Mi ricordo tutto. A fine partita contro l’Inter nella semifinale di ritorno, l’ho preso e gli ho detto: ‘Adesso però fammela vincere, se no ti ammazzo’. Sapevo avrebbe giocato lui. Ancelotti la mattina dopo mi prese da parte per farmi i complimenti perché ero una persona seria. La bravura di Ancelotti è quella di rendere partecipe anche chi gioca meno. A Manchester fu una partita molto equilibrata, c’era molta tensione“.

Su Donnarumma: “Per me il più grosso motivatore è stato Sinisa Mihajlovic. Quando parlava lui, io ero con la bocca aperta e io avevo già 39 anni. Era molto bravo nella comunicazione con il giocatore. Donnarumma? Aveva già deciso, ma io gli dissi di buttarlo dentro“.

Sulla sua ultima stagione: “L’ultimo anno penso di aver fatto 3 partite in campionato e la Coppa Italia fino alla finale. Ma mi era diventato pesante fare il viaggio da Milano a Milanello, cosa che per me era impensabile, mi era diventato pesante fare il pranzo con la squadra tutti i giorni, andare in ritiro. Avevo un altro anno di contratto e fisicamente penso che potessi andare avanti tranquillamente, però non avevo più stimoli. Anche nell’ultima partita Milan-Roma, mister Brocchi mi disse che avrei giocato e io gli risposi: ‘Guarda Christian, siamo amici. Mi credi che sono vuoto. Entro e rischio di fare figure, facendo perdere la squadra’“.

Il suo secondo desiderio per il genio della lampada: “È di qua, la seconda stella qua. Io sto rosicando ancora“.

Christian Abbiati - MilanPress, robe dell'altro diavolo
Christian Abbiati – MilanPress, robe dell’altro diavolo

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