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Milan, guardati attorno: chiacchiere e social allontanano tutti. Chi si sta riconoscendo in questa società?

Quando abbiamo pensato alla grafica che vedete allegata alla fine di questo pezzo, ottimamente realizzata da Christian Carideo per MilanPress.it, volevamo provare a rendere al meglio il sentimento che – crediamo – sia condiviso da moltissimi milanisti, senz’altro dentro ma anche fuori dall’ormai famigerata bolla social. Tutti, al netto di situazioni patrimoniali più o meno discutibili, stanno facendo muovere le proprie pedine come (meglio) possono. E allora ecco che l’agognato Antonio Conte alla fine farà la fortuna del Napoli, il corteggiato Thiago Motta quella della Juventus e persino l’Inter sta riuscendo a garantire stabilità rinnovando i suoi due gioielli, Lautaro Martinez e Nicolò Barella.

Poi c’è il Milan. Che dopo aver a lungo assistito alla voce grossa del proprio tifo, sempre sia dentro che fuori dalla bolla, ha preso atto di come non fosse il caso di proseguire con la “carta” Julen Lopetegui. Remi in barca destinati a non ripetersi con Paulo Fonseca, che tra pochi giorni scriverà nero su bianco il suo nome sotto quello di Stefano Pioli nell’albo rossonero degli allenatori. Da qui, una constatazione tanto amara quanto logica da parte di tanti tifosi: in un calcio figlio dei conti, memori delle difficoltà del passato e di un FPF che in via Aldo Rossi ha sempre fatto la voce grossa quando ha dovuto, oggi l’unico top club con i conti in ordine non ha la forza, forse le idee, magari anche solo la volontà di alzare l’asticella. Certo, magari fra sei mesi saremo qui a parlare di un Milan di Fonseca grimaldello del buon calcio italiano, ma alzi la mano chi al momento ne vede anche solo lontanamente i prodromi.

E allora ecco che, dopo aver atteso per tanto tempo il ritorno (l’ennesimo) di Zlatan Ibrahimovic questa volta nelle inedite vesti di consigliere ai piani alti, ci si è resi conto di come questo ruolo non sia ancora totalmente entrato nelle vene divine. Tradotto, basicamente: ti aspetti che Ibra “ti porti” Conte, invece te lo ritrovi a fare post social enigmatici come quando ci si attendeva il suo rientro dopo interminabili infortuni. A questo, per onore di cronaca, va aggiunto che fino a ieri i post di Zlatan hanno rappresentato i momenti dirigenziali più influenti (o meno sterili mediaticamente) del periodo. Si fa fatica, diciamo, a ricordare citazioni fondanti dell’ad Furlani, se non quel «Come vedete sono ancora qua» nella prima trasferta europea post indagine della Procura di Milano per ostacolo all’attività di vigilanza della FIGC.

Fino a ieri, dicevamo, l’attività social di Ibrahimovic ha “tirato” come ha potuto. Poi, in un anonimo sabato sera, l’Agenzia Dire ha deciso di riscrivere questo inizio giugno rossonero condividendo un presunto “fuori onda” (chiamiamolo così) del presidente Paolo Scaroni, nel quale avrebbe rivelato ad un suo amico che «per 150 milioni» Leao lo avrebbe «impacchettato». Virgolettati smentiti dalla società alla Gazzetta dello Sport: «Non ho mai detto niente di simile, perché non lo penso assolutamente. Mi è stato chiesto da un amico notizie sul futuro di Leao e ho risposto che ha una clausola da 175 milioni e che resterà con noi». Una toppa che, nell’immaginario contemporaneo di via Aldo Rossi, può bastare a coprire il buco. Forse non sarebbe bastato nemmeno quando i tifosi non erano ancora «evoluti», figuriamoci adesso.

Nella sua grottesca modalità, il caso Scaroni svela tutti i limiti di una società che forse oggi, ancor meno che nei tempi cupi post diaspora del 2012, non sembra essere in grado non solo di intercettare il sentimento del tifo cui fa riferimento (e grazie al quale anche in questa stagione, non dimentichiamolo, ha incassato poco meno di 82.000.000 di euro in 27 partite a San Siro), ma anche di farsi portatore sano di quell’allure che ha permesso al Milan di costruire la sua storia, il suo appeal, la sua credibilità nel mondo. Altrove l’unione d’intenti, ad ogni livello e in ogni comparto, sta facendo la differenza. E se è vero che non può bastare la coesione per essere i migliori, a volte può essere sufficiente la scossa giusta al momento giusto per dimostrare ancora di poterlo essere.

 

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