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Riecco lo stucchevole refrain sull’esterofilia dei top club italiani: però per Belotti si chiedevano 100 milioni…

Per una volta mettiamo da parte, ma non del tutto, il nostro amato Milan. Il giorno dopo è sempre quello dei processi. Quello in cui sessanta milioni di aspiranti commissari tecnici o presidenti federali espongono le proprie soluzioni per uscire dall’ennesimo baratro in cui è piombata la Nazionale Italiana, che – eccezion fatta per il fortunoso europeo vinto tre anni fa in Inghilterra – sta vivendo quindici anni di sole delusioni. L’ultima, la dolorosissima eliminazione per mano della Svizzera da Euro 2024 poco più di ventiquattro ore fa. E, tralasciando le evidenti colpe di una rosa tremendamente povera di qualità e gestita malissimo in questo europeo da Spalletti fin dal momento delle convocazioni, uno dei più comuni refrain che animano le trasmissioni sportive e le pagine dei giornali del giorno dopo è, leggermente parafrasato, quello del “i top club italiani devono puntare di più sui calciatori nostrani, senza andare a pescare nomi esotici dai quattro angoli del Mondo“.

Non a caso, tra i tanti, un noto giornalista ha commentato in questo modo sui propri profili social la debacle contro gli elvetici: “Non è colpa dell’allenatore della Nazionale se i presidenti preferiscono imbottire le rose di stranieri a scapito degli italiani“. Ma esiste davvero una tendenza di esterofilia di Milan, Inter, Juventus e via dicendo? Forse. Si tratta di un comportamento immotivato? Assolutamente no. Senza pretendere di fare un’analisi approfondita del movimento calcio italiano – per la quale servirebbero molte più righe, e molto più tempo, di quelle di un editoriale – basta citare alcuni esempi, più o meno recenti, di valutazioni di mercato oltremodo gonfiate e fuori da ogni logica che hanno riguardato negli ultimi anni alcuni giocatori italiani.

Gli esempi più lampanti concernono probabilmente due attaccanti, il reparto ad oggi più “povero” del calcio italiano: la Nazionale del 2006 vinse un Mondiale permettendosi il lusso di avere come attaccanti di riserva i milanisti Inzaghi e Gilardino e gli juventini Del Piero e Iaquinta, di numerose categorie superiori a quelli che Spalletti ha portato con sè in quella stessa Nazione che diciotto anni fa fu il palcoscenico dei nostri festeggiamenti. Tornando ai giorni nostri, però, sono eclatanti i casi di Andrea Belotti e Domenico Berardi, due onesti mestieranti che non hanno mai compiuto il grande salto nei top club di Serie A, anche e soprattutto per le illogiche richieste di cartellino da parte di Torino e Sassuolo.

Era il 2016/2017 quando il presidente granata, Urbano Cairo, ribadiva una settimana sì e l’altra pure di considerare cedibile il suo attaccante solo per i 100 (ripetiamo, cento) milioni di euro fissati nella clausola rescissoria contenuta nel suo contratto. Una clausola che, inutile dirlo, ha frenato e non poco le ambizioni e la carriera del bomber lombardo – soltanto accostato ai grandi club (Milan su tutti, che pare avesse offerto sessanta milioni) che non hanno mai fatto passi in avanti concreti per chiudere l’operazione, spaventati da una somma di denaro giustamente ritenuta illogica – ora trasferitosi al neopromosso Como dopo due stagioni anonime tra Roma e Fiorentina, e con all’attivo solo dodici gol in Nazionale.

Situazione simile per Berardi, che in ogni sessione di mercato veniva posto nel mirino dei principali club del nostro campionato (anche cui vi era sempre il Milan), salvo poi farsene nulla a causa delle richieste del Sassuolo, che in certe estati è arrivato a chiedere anche cinquanta milioni per il mancino, ed oggi – dopo una stagione passata più in infermeria che in campo, e culminata con la retrocessione dei neroverdi in Serie B – pare voglia comunque trenta milioni. Ma di esempi ce ne sono tanti altri, anche loro finiti nel mirino del Milan: per citare i più recenti, Frattesi trasferitosi all’Inter per quaranta milioni, Buongiorno valutato cinquanta dal Torino, per non parlare di alcuni degli uomini portati da Spalletti ad Euro 2024 che sui giornali venivano e vengono tuttora “pompati” come fossero il van Dijk o il Modric di turno.

Sia chiaro, chi scrive non ha assolutamente nulla di personale contro i giocatori summenzionati, presi a mero titolo esemplificativo, ma converrete che a questo punto, sorgono spontanee alcune domane: perché mai i grandi club dovrebbero comprare gli italiani, se per la maggior parte di loro le valutazioni sono senza alcun senso o spiegazione logica? Perché un presidente dovrebbe spendere quei soldi per prendere nulla più che buoni giocatori quando il Milan cifre molto più basse dall’estero ha portato in Italia i vari Theo Hernandez, Leao, Maignan, Pulisic?

Twitter: @Juan__DAv

Milan-Sassuolo: Alessandro Florenzi e Domenico Berardi (Photo Credit: Agenzia Fotogramma)
Milan-Sassuolo: Alessandro Florenzi e Domenico Berardi (Photo Credit: Agenzia Fotogramma)

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