HomeNewsPioli: "Non dobbiamo porci limiti. Ibra e Kjaer hanno cambiato la squadra"

Pioli: “Non dobbiamo porci limiti. Ibra e Kjaer hanno cambiato la squadra”

L’allenatore del Milan, Stefano Pioli, ha rilasciato un’intervista all’edizione odierna de Il Fatto Quotidiano.

Su Ivan Gazidis: “Tutto il Milan fa il tifo per lui. La sua forza è la nostra, siamo orgogliosi di far parte della sua famiglia. Guarirà e non vediamo l’ora di riaverlo con noi”.

Sull’obiettivo stagionale: “Siamo il Milan e non ci dobbiamo porre limiti. Sarà difficilissimo perché sette squadre lotteranno per i primi quattro posti, ma gli ostacoli sono troppo alti per chi non ha ambizioni abbastanza forti”.

Su come il suo Milan sia riuscito a ingranare: “Stranamente, la scintilla tra di noi è nata nelle riunioni su Zoom durante il lockdown. Ci siamo dati il tempo di conoscerci, abbiamo parlato delle nostre vite, non solo di calcio. In questo modo, è nato il gruppo. Se siamo diventati amici? No, non siamo amici, apparteniamo a un’idea di valori comune”.

Su Berrettini a Wimbledon: “Di lui mi è piaciuto lo sguardo da ragazzo determinato, sereno, positivo e voglioso”.

Sulla Nazionale: “La chiave del trionfo sono gli occhi dei giocatori che guardavano Mancini e si guardavano tra loro. È in quel modo che hanno vinto. Hanno rappresentato al meglio l’Italia. Abbiamo esultato tutti perché ci siamo sentiti partecipi di una cosa bella. Se ho rivisto il mio Milan nella Nazionale? In piccolo, sì. Sento che tra noi c’è empatia e, forse, c’è anche un po’ di magia”.

Su Kjaer: “Conoscevo già il suo valore. È un uomo di intelligenza e sensibilità rare, ha usato quelle qualità per salvare un amico. È stato lucido in un frangente drammatico”.

Sull’arresto cardiaco che ebbe nel 1998: “Lo ebbi dopo uno scontro di gioco, non mi ricordo niente. Ho avuto il coraggio di rivedere le immagini solo molti mesi dopo”.

Sul 4 marzo 2018: “Sono un allenatore che impronta tutta la sua gestione sul confronto e sul dialogo con i giocatori. Quella tragedia mi ha fatto capire che i calciatori sono innanzitutto uomini. Sono dovuto entrare nelle loro teste. Ho dovuto raccontare loro che il medico, alle 9 del mattino, mi aveva detto che Davide non c’era più. Ho passato tutti i mesi successivi ad aiutarli a elaborare quella scomparsa. In certi momenti, bisogna andare in profondità. Conta la tecnica, conta la tattica, ma è ancora più importante la componente mentale. L’Italia ha vinto gli Europei con lo spirito di gruppo. Non vinci con la tattica. Vinci mettendo da parte l’io e anteponendo a tutto il noi”.

Su Ibrahimovic: “Mi ha aiutato tanto. Zlatan è un esempio in tutto quello che fa. Non ci sta a sbagliare neanche un passaggio nel torello. Pretende il massimo da se stesso e dagli altri. Ibra e Kjaer hanno cambiato la squadra non solo dal punto di vista tecnico, ma anche, e soprattutto, in senso morale”.

Su Platini e Baggio: “Ai tempi di Michel ero un ragazzino, avevo 18 anni e venivo dal Parma, in Serie C. Mi sentivo più tifoso che compagno. Platini è stato un campione incredibile, che ha avuto la sfortuna di capitare nel decennio di Maradona. Ne ha sempre sofferto. Il Baggio che ha giocato con me, nella stagione 1989/1990, valeva Maradona. Il nostro schema, da difensori, era facilissimo. Recuperavamo palla, la passavamo a Dunga, che serviva Baggio. Poi andavamo tutti ad abbracciare Roberto dopo il gol. Io e Baggio non eravamo amici, lui abitava a Sesto Fiorentino e io avevo già figli. Avevamo vite diverse. Roberto era un ottimo compagno di squadra e un ragazzo sensibile, che sentiva l’affetto della città e della squadra”.

Sulla vittoria della Coppa Intercontinentale ai tempi della Juventus: “L’avversario era l’Argentinos Juniors. Si giocava a Tokyo. Eravamo lì da una settimana per smaltire il fuso orario. Lo stadio era pieno di trombette, non si sentiva niente. Fu una partita difficile, venne annullato un gol a Platini. Vincemmo al quinto rigore, Trapattoni mi aveva detto che avrei tirato il sesto. Fortunatamente, non ci siamo arrivati”.

Sulla finale dell’Heysel: “Avevo il piede ingessato, ero in tribuna e vidi i primi scontri sulle tribune. A quel punto, ci portarono negli spogliatoi. Seguii la partita a fianco della panchina. Le notizie non arrivavano. Credevamo che avrebbero interrotto tutto a fine primo tempo. Alla fine ci dissero di fare il giro d’onore e, quando rientrammo in hotel, pensavamo davvero che quella partita non contasse. Fu una tragedia enorme, di cui non fummo pienamente consapevoli”.

Sul Black Lives Matters: “Da giocatore, aderirei. Mi inginocchierei”.

Su cosa vorrebbe dicessero di lui a fine carriera: “Vorrei dicessero che ho migliorato molti dei giocatori che ho avuto a mia disposizione”.

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Milan: Stefano Pioli – Milanpress, robe dell’altro diavolo

 

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